Monday, November 22, 2010

dpr 28 01 1988 n 43

dpr 28 01 1988 n 43


, che conduce nella forma di impresa individuale con associata in partecipazione di lavoro e capitali la propria coniuge con contratto del 18/03/1996, inoltrava, in data in data 23 marzo 2006, istanza di rimborso di parte dell' IRPEF e relative addizionali relativamente all'anno 2004, nonché degli acconti Irpef per il 2005, per un totale di € 58.249,08. , costituendosi in giudizio contestava la fondatezza del ricorso, osservando che l'indeducibilità degli utili corrisposti all'associato in partecipazione che fornisca esclusivamente apporti di capitale è nata dalla volontà del legislatore delegante di applicare, nella determinazione del reddito di impresa, le norme contenute nella disciplina dell'imposta sul reddito delle società, onde evitare qualsiasi forma di elusione. Lamentandosi che nella sentenza i primi giudici non hanno compiutamente risposto alle eccezioni sollevate nel ricorso chiede di nuovo in via principale la totale riforma della sentenza con il rimborso in favore del ricorrente di IRPEF ed addizionali Comunali Regionali e, in via subordinata, di sospendere il giudizio rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale per il giudizio di costituzionalità dell'art. Anzi, esso contiene elementi di pericolosità poiché, alterando la funzione civilistica dell'istituto, distrugge il buon fine della norma, stimolando la ricerca del fine della detraibilità dell'onere attraverso l'adozione di altre forme contrattuali atipiche e quindi anche di difficile controllo da parte dell'Erario. 80/2003 e, contemporaneamente, di inserire anche la disciplina della tassazione di questo tipo di redditi in una categoria unitaria che comprenda tutti i redditi di natura finanziaria, onde evitare qualsiasi forma di elusione. Se poi l’associato non esercita l’attività d’impresa, le modalità di tassazione possono essere diverse a seconda se trattasi di un apporto di capitale “qualificato” quando cioè l’apporto supera il 5% o il 25% del valore del patrimonio netto contabile della società associante alla data di stipula del contratto , scontando una tassazione sulla quota di utile percepito limitatamente al 40% del suo ammontare; Nell’appello del contribuente, risulta dichiarato che la forma di compartecipazione di capitali da parte dell’associata moglie è costituito da lavoro e capitali, anche se non è dato di conoscere al Collegio il relativo contratto di compartecipazione e la consistenza dell’apporto del capitale se qualificato o meno , dal momento che lo stesso non fa parte né degli allegati al ricorso né degli atti di causa. Prima di entrare nel merito della questione, occorre ricordare in primis la natura e la disciplina civilistica che regola "Il contratto di associazione in partecipazione” Esso è un contratto con il quale un soggetto "associante" attribuisce ad un altro soggetto "associato" il diritto a partecipare agli utili o alle perdite della sua impresa o di uno o più affari, a fronte di un determinato apporto che può consistere in una somma in denaro, nel godimento di un bene o nella prestazione di un'opera o di un servizio. Seppur vero l’esistenza di una doppia imposizione , anche se mitigata dall’art.47 del Tuir , ciò trova giustificazione dalla necessità di conservare nel sistema fiscale profili di progressività del prelievo, che altrimenti andrebbero persi e che nella versione della norma in questione antecedente alla riforma non esistevano , in quanto venivano messi sullo stesso piano e con lo stesso trattamento fiscale la detraibilità degli utili sia in capo all’associante in partecipazione con apporto di solo lavoro e servizi all'associazione e dell’associato che invece apporta oltre che servizi anche capitale. 80/2003 e contemporaneamente di inserire anche la disciplina della tassazione di questo tipo di redditi in una categoria unitaria che comprenda tutti i redditi di natura finanziaria. In tale ottica è perfettamente logico che, ravvisandosi nella fattispecie un reddito di puro capitale il cui trattamento fiscale è assimilato a quello dei dividendi, la deducibilità non sia riconosciuta in capo all'associante dovendo ciò essere disciplinato differentemente, perché differenti sono le tipologie di redditi nelle quali si classificano le diverse forme di utili percepiti dall'associato in partecipazione. Considerato poi che la volontà del legislatore , è stata quella di far rientrare in un'ottica di risistemazione uniforme e armonizzazione la tassazione dei redditi di capitale e a riguardo basta leggere alcuni passi significativi della Legge delega vedi art.3 lettera d e art.4 lettera g, come la relazione allo schema di decreto legislativo che lo ha accompagnato, non ha senso neanche di parlare di eccesso di delega e quindi violazione degli artt. Del resto cosi facendo , con la modifica della norma contestata dall’appellante, il legislatore ha anche evitato possibili forme di elusione, scoraggiando cioè fenomeni possibili di “income splitting “ cioè di reddito diviso e ripartito tra associati e tra soggetti in partecipazione per fini di convenienza ai fini del prelievo fiscale, specialmente in alcuni ambiti dove essa risulta più facile per la presenza di familiari. Un ipotetico esempio a riguardo chiarisce, come un associante ipotizzando il caso di un guadagna di 100.000 euro e scontando un IRPEF con aliquota del 43% , al fine di ridurre il prelievo fiscale, potrebbe essere indotto a fare una associazione con la moglie con un apporto di capitale del 50%. Stante comunque la peculiarità della questione e l’articolazione della stessa in capo alla norma modificata che si presta a risvolti di diversa interpretazione e lettura, il Collegio ritiene di compensare le spese di giudizio tra le parti.
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